Maresa Bertolo e Mario Sacchi si preparano a cominciare. |
Martedì 25 giugno, come da programma, si è svolta l’ultima lezione del Corso di Game Design del Politecnico di Milano, tenuto dalla docente Maresa Bertolo, ricercatrice del Dipartimento di Design, e da Ilaria Mariani, Cultore della materia e PhD Candidate.
Per l’occasione, le organizzatrici hanno chiamato a parlare Mario Sacchi, in rappresentanza di Post Scriptum per dare agli studenti una testimonianza diretta di cosa sia il lavoro di editore e, successivamente, per valutare e commentare i regolamenti dei loro giochi. Di questo secondo argomento parleremo in un altro post, mentre ora vorremmo riassumere, per i lettori del blog, le considerazioni e le domande relative alla prima parte della lezione.
In sostanza, si è parlato del mestiere di editore, descrivendolo come un mix fra imprenditoria e creatività, condito con una considerevole disponibilità a spostarsi per andare a incontrare di persona clienti, fornitori, autori, o chiunque altro sia interessante conoscere, compresi i semplici appassionati.
I ragazzi hanno mostrato una certa curiosità per l’argomento, facendo domande, per esempio, sul rapporto fra autori ed editori e sull’impatto del gioco online su quello in scatola. Ne è emersa una piacevole chiacchierata fra Mario, Maresa e qualche studente più intraprendente degli altri, di cui non stiamo a riportare i dettagli, ma di cui vorremmo condividere le conclusioni.
Siamo fermamente convinti, come già espresso da Mario in questo post, che il mondo dei giochi sia un settore in cui è davvero possibile trovare uno sbocco lavorativo, alla faccia della crisi: il settore dei giochi continua a funzionare, per vari motivi:
- è economico: con una scatola possono giocare in media 4 persone per svariate serate;
- è aggregativo: intorno al tavolo si cementano le amicizie (e le rivalità!), e lo svolgimento della partita offre sempre numerosi spunti di discussione, a volte accesa, a volte canzonatoria, ma quasi sempre interessante e divertente;
- è stimolante: si può lasciare da parte la propria “banale” identità e calarsi nei panni di un generale, una spia, uno zombie, un detective, un astronauta o chissà che altro, partecipando in modo attivo allo svolgimento della partita (a differenza di ciò che accade, per esempio, con libri o film);
- è innato: giocare è un desiderio che tutti abbiamo fin dai primi mesi di vita;
- è vasto: le tipologie di gioco sono tantissime, da quelli tradizionali, a quelli da tavolo, di ruolo, di miniature, agli astratti, ai collezionabili, alle app e ai videogames. Difficile che a una persona non ne piaccia neanche una.
Ma dopotutto, non è forse così anche per molti altri settori, dove anzi non esistono neppure queste opportunità?
Per questo ci ha fatto immensamente piacere partecipare a questa lezione e conoscere i ragazzi del corso: perché formare dei game designer preparati a livello teorico, dando loro anche il compito di realizzare almeno un primo gioco a livello pratico, può aprire concrete possibilità lavorative per i ragazzi e, cosa non meno importante, può alzare il livello di professionalità all’interno del settore.
Certo, non basta un corso di un semestre per imparare il mestiere, ma è un ottimo punto di partenza!