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Un gioco può essere oggettivamente bello?

In questa seconda puntata della rubrica di opinione del blog vorrei iniziare a trattare un argomento che probabilmente ricorrerà spesso in futuro, ossia il rapporto fra giocatori ed addetti ai lavori, affrontato da diversi punti di vista. In particolare, questa volta vorrei occuparmi di quanto la percezione di un gioco possa essere influenzata dal gruppo di giocatori, più che dalle sue caratteristiche oggettive e di quanto sia importante tenerne conto, sia mentre si sviluppa un nuovo titolo, sia mentre si interagisce col pubblico. 

A tal proposito mi viene in mente una vecchia discussione su facebook fra italiani, in merito ad alcuni party game con ruoli segreti, deduzioni ecc. So che avete presente la tipologia di cui parlo.

Nel post in oggetto si affrontavano un giocatore che sconsigliava il gioco X perché a suo dire è buggato e due esperti autori di giochi di ruolo e da tavolo, che spiegavano che non lo è, mentre spiegavano che lo sono i giochi Y e Z che per il giocatore erano invece esenti da difetti. Da qui era partito un dialogo fra due parti totalmente discordanti, in cui gli autori portavano argomentazioni tecniche per definire cosa sia bug e cosa no, mentre il giocatore rispondeva citando il proprio gruppo di gioco, dicendo che era composto da giocatori da torneo molto esperti, con anche una campionessa italiana, e dicendo che pertanto erano gli autori a non capirci nulla. Era proprio una di quelle classiche situazione in cui alla fine tutti perdono la pazienza, gli animi si scaldano e i protagonisti finiscono per bloccarsi a vicenda. Insomma: internet.

Ora, io da addetto ai lavori ovviamente capisco benissimo gli autori, perché le argomentazioni che portavano erano oggettive ed è giusto che persone come loro o come me, ma anche come i semplici appassionati, le conoscano e sappiano discernere un gioco ben fatto da uno che ha dei problemi o che, come si dice a volte, è invecchiato male.

Però era anche evidente che il giocatore non fosse un semplice troll, ma stesse semplicemente portando esperienze che ha vissuto in prima persona.

Ed è vero che gli autori avevano senza dubbio ragione al 100% quando si parlava del primo gioco: il giocatore lo trovava rotto dopo averci giocato giusto una o due volte e senza evidentemente averlo capito (sapendo che gioco era so bene che non ha i difetti di game design che gli attribuiva). Il discorso si fa più complicato riguardo agli altri due giochi, che al giocatore piacevano e che gli autori trovavano improponibili. In pratica, in quei casi il giocatore diceva che “basta giocarli bene, con giocatori esperti che fanno le mosse giuste, e sono giochi che girano perfettamente”. Ecco… Da editore e sviluppatore so benissimo che un buon gioco non può funzionare solo quando i giocatori lo giocano in un certo modo, anzi, è un difetto oggettivo. Però resta il fatto che se quei giocatori ci hanno fatto decine e decine di partite e continuano a giocarci, evidentemente si divertono a farlo, e questo per me conta comunque parecchio (specie in una discussione su internet).

In una frase: le argomentazioni oggettive degli addetti ai lavori sono spesso validissime, ma quando giudichiamo le scelte dei giocatori non dobbiamo fare l’errore di sottovalutare quelle soggettive, perché dopotutto, chi gioca di norma lo fa per divertirsi e passare il tempo. E quindi, chi i giochi li crea, oltre a farlo perché è il suo lavoro e perché si diverte a farlo, deve sempre ricordarsi che lo sta facendo per i giocatori.

Certo, è nostro assoluto dovere cercare di sfornare giochi ben testati, bilanciati e soprattutto non buggati, ma, così come spesso ho fatto con i gamers invitandoli a non essere troppo elitari, allo stesso modo invito anche noi creatori a non perdere mai la nostra anima di giocatori, soprattutto se si sta parlando di party games, magari anche di parecchi anni fa, ma che continuano a mietere grandissimo successo in tutto il mondo.

Anche perché, pur vedendone i limiti oggettivi di cui parlavano gli autori, ad almeno uno dei giochi citati io stesso gioco sempre con entusiasmo, passando serate in grande allegria. E sì, come nel caso del giocatore in questione, il mio gruppo di amici è sempre stato fondamentale per la buona riuscita di quelle decine e decine di partite e so benissimo che con in altre ludoteche non devo neppure azzardarmi a proporlo.

Sia chiaro, non sto scrivendo che i due autori avevano torto in questo caso: di fatto la penso come loro riguardo a tutti e tre i giochi, però apposta non scrivo né i loro nomi, né i titoli dei giochi, proprio per esplicitare che non mi riferisco a questo episodio in particolare, ma al fatto generale che ogni giocatore ha i suoi gusti e le sue particolarità, e lo stesso vale per i gruppi di gioco. Personalmente, lo vedo molto spesso con il gioco Citadels, che per molti è considerato un filler, mentre nella nostra ludoteca non dura mai meno di un’ora e mezza e viene giocato facendo fumare le meningi per scoprire i vari ruoli. Quale era l’intenzione del suo autore? Aveva tenuto conto delle diverse possibili interpretazioni? Lui come lo gioca?
Corro a taggarlo e vediamo se risponde!

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