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Contro i giudizi affrettati

Dopo qualche settimana di assenza, torna la rubrica di opinione del nostro blog, e lo fa con un articolo in cui si criticano i giocatori. Non c’è che dire: sappiamo come farci voler bene.
In realtà, ovviamente, ce la prendiamo con una ristretta cerchia, ossia quelli che corrono a stroncare un gioco dopo averci fatto una sola partita, a volte senza neppure finirla.

Certo, succede che escano giochi brutti e buggati, a volte. In realtà è sempre successo, perché la lotta con le tempistiche esiste da quando esiste questo mestiere, ma ultimamente il problema si sta probabilmente acuendo. E a volte le tempistiche impongono di tagliar corto e andare in stampa(*), sacrificando la grafica, o l’ergonomia, o la qualità dei materiali, o il game design.
Oppure succede perché non tutti gli editori sono poi così bravi e può capitare che sbaglino. Può anche capitare ripetutamente, come certamente anche voi avrete visto in alcuni casi.
Come ho già scritto più volte, fare l’editore è un lavoro parecchio complesso, fatto di mille diverse fasi. Senza considerare tutta la parte amministrativa e quella commerciale, che pure portano via un sacco di ore e richiedono sforzi notevoli (ma che sono comuni a tutte le realtà imprenditoriali), va detto che la creazione di un gioco è davvero fatta di tante diverse competenze, che si devono incastrare alla perfezione. Di norma, include il lavoro di parecchie persone, magari che parlano lingue diverse, che devono essere coordinate al meglio perché un singolo errore di uno, che è sempre in agguato, può diventare un serio problema sul prodotto finale.
Ovvio che comunque non è una scusante: se un prodotto è davvero buggato, o se ha una grafica incomprensibile o materiali pessimi, l’editore ha lavorato male, senza se e senza ma. Di casi simili me ne vengono in mente parecchi.
Però, a volte non è questo il caso…

Già, perché a volte il problema non sta davvero nel gioco, bensì nell’utente. Spesso i giocatori hanno fretta di recensire un gioco perché presto ne avranno altri, quindi corrono a dare le loro valutazioni dopo una sola partita, a volte neanche completa. È vero che questo tipo di giocatori spesso ha davvero una grande esperienza, a livello di titoli provati, proprio perché non vede l’ora di giocare al successivo, ma può essere che tale esperienza si traduca più in un’esigenza di criticare, che in reale competenza per farlo, soprattutto quando si tratta di giochi apprezzati dalla critica, e soprattutto se tutte queste partite sono appunto PRIME partite, magari neanche complete.
A volte succede proprio ai giocatori più appassionati, che cadono nel circolo vizioso del: i giochi da tavolo sono la mia super passione -> li voglio provare tutti tuttissimi subito -> li voglio sempre più fichi e perfetti -> me ne piace uno ogni dieci -> quello che mi piace lo rigioco all’infinito, degli altri nove scrivo peste e corna sui social perché sono un appassionato e parlare di giochi mi interessa più di qualsiasi altro argomento. So bene che è una dinamica comune a molti altri settori, ma secondo me non è particolarmente positiva in nessuno di essi. Intendiamoci: il feedback dei giocatori a volte è preziosissimo e spesso e volentieri l’ho tenuto in grande considerazione in fase di sviluppo prodotto. Altre volte però mi sembra sia proprio solo figlio della voglia di dimostrare la propria (presunta) competenza.
Faccio un paio di esempi che riguardano i nostri giochi, per far capire meglio a cosa mi riferisco:

  • Ah, guarda, con Wendake ci avete preso, ma Kepler proprio no: le carte Progresso casuali rovinano completamente il gioco. Io non sono neanche riuscito a finire la prima partita.
    Ok, per carità… Tutti i pareri sono legittimi e se uno non riesce a finire una partita perché trova una regola così insopportabile, io non sono nessuno per giudicare i suoi gusti. Però il fatto che me lo venga a dire in fiera con tale sufficienza, aggiungendo pure che Wendake l’abbiamo azzeccato (wow! Che fortuna averlo azzeccato! Neanche ci avessimo fatto due anni di playtest intenso, eh…) mi ha davvero irritato. La regola in questione è stata provata con una marea di gente per oltre un anno, durante una pletora di partite e l’abbiamo inserita nel gioco nella formulazione che a nostro parere funzionava meglio. E per carità, noi siamo fallibili, come tutti, però vedere la spocchia con cui un giocatore qualunque si stava rivolgendo all’editore di un gioco che aveva ricevuto la quasi totalità di critiche positive mi ha davvero fatto irritare. Ma più che l’opinione in sé, mi ha seccato il fatto che tale opinione venisse presentata come un fatto, incontrovertibile e assoluto… E scaturito da una partita neanche finita.
    Sgrunt
  • Eh, sì, Wendake è carino, ma si vede proprio che la scala delle maschere l’avete aggiunta all’ultimo per far quadrare le cose. Peccato, avreste potuto fare di meglio, ma si capisce che avevate fretta.
    No. La scala delle maschere esiste fin dal primo prototipo, come abbiamo detto in questo post e anzi è una delle poche meccaniche che è giunta nel prodotto finale senza alcuna modifica, perché Danilo era partito dall’ambientazione e questo ne è un aspetto fondamentale (praticamente, è ciò che distingue gli Irochesi da tutte le altre tribù).
    Questo secondo esempio non mi ha dato fastidio quanto il primo, forse perché mi è stato espresso con un sorriso, ma analizzandolo non è poi così diverso. La critica sul fatto che la scala maschere sia slegata dal resto è accettabile, per carità. Lo sappiamo anche noi, e abbiamo deciso di tenerla perché ci piaceva lasciare un modo di fare punti che fosse indipendente da ciò che succedeva sulla plancia di gioco.
    Quello che invece disturba è l’accenno alla meccanica aggiunta in fretta e furia alla fine. Spiace, perché dopo anni a testare giochi fino alla nausea per sfornare prodotti sempre accolti benissimo dalla critica, fa male che qualcuno pensi che lavoriamo così.
    Per carità, non sto dicendo che la gente non debba più esprimere le proprie opinioni sui giochi, eh. Anzi, sono importanti e spesso interessanti. Dico solo che, nella maggior parte dei casi, le scelte editoriali (comprese quelle di game design) hanno alle spalle precise motivazioni, e che liquidarle con sufficienza senza un’analisi approfondita è sbagliato. Precipitarsi online a sparare fango su un gioco prima di tutti gli altri non ha alcun effetto positivo sul settore, né sulla propria reputazione. Si generano solo flame dannosi, che presto fanno stancare la gente e che danno l’idea di una community con la puzza sotto il naso. Poi è chiaro che le critiche meritate esistano e siano anche utili, ma se vengono sommerse da quelle immotivate, rischiano di sparire nel mare di fastidio.

In conclusione: stiamoci attenti noi editori, a far uscire dei prodotti in grado di soddisfare il pubblico appassionato, ma stia attento anche il pubblico appassionato a non avere troppa fretta di valutare.
Il discorso si ricollega anche un po’ a quanto scritto in questo post riguardo alle demo in fiera e in particolare a chi sostiene che “in mezz’ora di partita si riesce a valutare qualsiasi gioco”.
No, ragazzi. Io cito i miei giochi perché sono quelli che conosco, ma vi assicuro che né Kepler, né Wendake (né nessun altro gioco di Placentia) sono valutabili in mezz’ora di partita, davvero.
Giocateli bene, questi giochi. Date loro la possibilità di conquistarvi. Vi assicuro che ne vale la pena.

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(*)
È successo anche a noi, a volte, di cedere alla fretta su qualche aspetto del gioco, ma si trattava sempre di questioni che ritenevamo del tutto secondarie. I prodotti effettivamente usciti ci hanno sempre convinto in pieno. In più di un’occasione abbiamo rimandato l’uscita di un gioco perché per noi non era pronto.